sábado, 20 de dezembro de 2014

Memória de São Bonifácio, 5 de Junho

Nasceu na Inglaterra, cerca do ano 673. Fez a profissão religiosa, adoptando o nome de Vinfredo, e viveu como monge no mosteiro de Exeter. Vindo da Inglaterra para Roma, foi recebido pelo papa Gregório II, que o ordenou bispo; tomando o nome de Bonifácio, foi enviado no ano 719 à Alemanha para anunciar o nome de Cristo àqueles povos, e obteve excelentes resultados. Governou a Igreja de Mogúncia e, com a ajuda de vários colaboradores, fundou ou restaurou diversas Igrejas na Baviera, na Turíngia e na Francónia; também convocou concílios e promulgou leis. Quando evangelizava em Dokkum, na Frísia, actualmente na Holanda, foi massacrado à espada por gentios furiosos, e consumou o martírio. O seu corpo foi sepultado no mosteiro de Fulda.

A este Santo foi dedicada a mais antiga música polifónica cuja partitura chegou aos nossos dias; êste cântico data do início do século X (900 d.C.) e foi descoberto recentemente pelo estudioso João Varélio: é a antífona Sancte Bonifati martyr.

São Bonifácio, mártir ínclito de Cristo,
pedimos-te que nas tuas preces te dignes sempre
confiar-nos as graças de Deus.

Transcrição moderna:



A antífona cantada por Lívio Tíclio e Marcelo Macétio, do coral da Palma em Cremona:




Outra intepretação, de Quintino Cerveja e João Clafão, do colégio de São João de Cambridge:




Permiti, Senhor, que, por intercessão de São Bonifácio, possamos manter sem desfalecimento e proclamar na nossa vida a fé que ele ensinou com a palavra e confirmou com o sangue do martírio. Por Nosso Senhor.

domingo, 7 de dezembro de 2014

Música para o Domingo da Sagrada Família / Sanctae Familiae Iesu, Mariae & Ioseph

Êste é o Domingo que calha dentro da Oitava do Natal, ou então, na sua falta, o dia 30 de Dezembro.

Partituras:
Próprio autêntico (PDF)
Ofertório autêntico com versículos (PDF


Intróito Deus in loco sancto suo, pelo eslovaco:




Gradual Unam pétii, pelo Pedro de França:




Alleluia Gaudete justi, cantada pelo Pedro Francês:




E comentada por Giacomo Barrófio:
D I dopo NATALE - ALLELUIA
Gaudete iusti in Domino, rectos decet collaudatio (sal 32, 1) (mi plagale - IV modo)
L’Alleluia Gaudete iusti, con una sua melodia propria ed esclusiva, è stato usato spesso nella tradizione nel ciclo sia del temporale sia del santorale. La melodia attraverso le frequenti fioriture lascia trasparire una semplice struttura ad arco che imita una formula salmodica con intonazione e reintonazione Fa-Re Sol-la-Sol, corda di recita che oscilla tra il Sol e il la, cadenza mediana sul Re e finale sulla tonica Mi. L’enunciato del primo emistichio è sobrio, mentre le successive tre parole (“rectos - decet - collaudatio”) sono scandite con un forte rilievo melismatico, quasi a significare che proprio nelle espressioni finali si colloca la motivazione profonda e la spiegazione della gioia (gaudium/gaudete) annunciata all’inizio del canto.
La lunga schiera di iusti ai quali si riferisce la liturgia cristiana, ha una preistoria nella folla dei giusti d’Israel. In quel preciso contesto religioso e sociale si radica l’esperienza di un artigiano (Giuseppe) e della sua famiglia (la moglie Maria, il figlio Gesù), come ha illustrato con grande attenzione Raymond Aaron. Ogni giorno trova la famiglia di Nazareth impegnata nell’adempimento della Parola, nel cercare la volontà dell’Altissimo, nel leggere gli accadimenti abituali e imprevisti alla luce del Patto che l’intero popolo e il singolo credente sono chiamati a scoprire e a osservare.
Giustizia, rettitudine, onestà sono le virtù cantate più volte dal salmista. Esse pongono la base per una dilatazione del cuore che nell’adempimento della Legge trova la sua consolazione e costruisce un’esistenza nella serenità gioiosa delle relazioni. A partire dalla cellula, tutto fondante, della famiglia, piccola Chiesa, nucleo centrale del vivere comunitario di vaste, amplissime dimensioni fino a raggiungere i confini della terra.
A cerchi concentrici la forza irrompente del giusto si espande, travolge le resistenze, raggiunge altri cuori e altre famiglie, contagia la società che la giustizia guarisce dalle malattie di sempre, quelle vigorose nel terreno infestato da egoismo, invidia, cinismo… È quanto il cantore non si stanca di annunciare agli sfiduciati, a quanti non riescono ad affrontare le tante piccole crisi famigliari, a quanti sono oppressi dalle macerie di relazioni infrante, a quanti – piccini e anziani – sono trascurati, dimenticati, abbandonati. Perché oggi non c’è solo il declino dei genitori e dei figli, ma anche la famiglia è in crisi. Non tanto per gli assalti dall’esterno con nuove proposte di convivenza, ma soprattutto perché è al suo interno che per troppo tempo non sono stati coltivati i principi virtuosi di giustizia, rettitudine, onestà.
Quale modello concreto propongono le famiglie dei nostri paesi rurali e delle città industriali? Ci sono gli onesti, mancherebbe altro. Ma l’immagine diffusa offerta da una società deturpata dall’egoismo non può essere che un irritante scarabocchio che tratteggia imprenditori del male, vittime loro stessi prima di essere farabutti e criminali.
Un banco di prova cui nessun individuo e nessuna famiglia si può sottrarre è la solidarietà generosa. Sarebbe scandaloso e insieme ridicolo se oggi l’esempio di una schietta solidarietà fosse viva e preminente nelle cerchie del malaffare, a partire dalla “famiglia” mafiosa. Sarebbe ora di riscoprire la dignità dell’essere cristiano, come avvertiva tanti secoli fa il vescovo di Roma papa Leone, cui fa eco, spesso inascoltato, il suo successore Francesco. Auguri!

Antífona do Ofertório In te speraui, na voz do Pedro de França:




Comunhão do Ano A, Tolle puerum et matrem eius, aqui comentada por Tiago Barófio:
Come canto di comunione il Missale Romanum propone il testo del profeta Baruch “Deus noster in terris visus est, et cum hominibus conversatus est” (3, 38). Il Graduale Romanum, per il solo anno “A” del ciclo triennale domenicale, mantiene l’antifona tradizionale “Tolle puerum et matrem eius”. Il testo (Mt 2, 20) si trova, infatti, nella pericope evangelica del giorno (Mt, 2, 12-15. 19-23). 
Il canto in sol plagale (VIII modo) disegna due ampi archi melodici, ciascuno dei quali ha una cesura mediana (matrem eius e sunt enim). Essa non interrompe il flusso vocale, ma prepara il culmine di ciascuna frase segnato da due analoghi ampliamenti melodici (terram e quaerebant). La semifrase iniziale indugia sulle parole che l’angelo del Signore rivolge a Giuseppe “Tolle - puerum - matrem eius”. Il messaggio è chiaro e rassicurante. Dopo la nascita avventurosa ai margini della società, dopo la fuga precipitosa in terra straniera, dopo un’esistenza vissuta nel segno precario della provvisorietà, dopo tante insidie e incertezze, finalmente l’annuncio atteso “vade in terram Israel/Iuda”. “Qui quaerebant” sono ormai resi totalmente inoffensivi dalla morte che li ha raggiunti prima che potessero togliere la vita al Bimbo. 
Molti sono i personaggi nel folto gruppo dei ricercatori, di quanti “quaerebant”. Con modalità differenti, con finalità assai diverse. Ci si trova immersi in un contesto sociale dove ci si lascia trasportare passivi dalla corrente più impetuosa e dalle mode imperanti. Si prende in mano la propria vita e con passione ci si fa strada, spesso contro corrente. Ci si lascia abbagliare dai lampi del mondo e ci si strema pur di raggiungere l’opulenza economica, il potere politico, quanto sembra assicurare solidità. Si rimane affascinati dal sorriso del Bimbo Gesù, dallo sguardo del Crocifisso. Con Pietro infedele e Tommaso incredulo, con Zaccheo e il pubblicano ci si mette in cammino, senza forse quelle certezze immediate che pensavamo di afferrare al volo; ma sempre in cammino si prosegue la ricerca. Nonostante ci si trovi vigliacchi come Pietro, perplessi come Tommaso…  
È l’itinerario dell’uomo che si ritrova straniero in patria, apolide, esule in continuo peregrinare, immobile sempre in fuga. Fino a quando la Parola indica il cammino del ritorno. Affrontare l’ignoto, poter contare solo sull’impotenza dei poveri, essere calpestati dalla codardia dei ricchi, essere cancellati dal cinismo dei potenti: sono tutte situazioni reali non riservate al passato. Sono ormai esperienza quotidiana che rivela le reali lacerazioni del tessuto umano.  
Il cantore non chiede solo pietà per la famiglia di Nazareth. Il suo canto richiama con urgenza la solidarietà con quanti oggi devono fuggire dalla propria casa. È l’inno che celebra il coraggio dei genitori affranti e prossimi ormai alla disperazione. È la consolazione dei piccini ignari e pur già proiettati in un mondo che può salvarsi se salva anche loro, gli ultimi degli ultimi. Eppure, oggi come ieri, sono loro, i bimbi totalmente indifesi e senza diritti, che costituiscono l’asse portante intorno cui si aggrega la famiglia, si rinnova la speranza.  
Tolle puerum et matrem eius” è la parola che tanti babbi percepiscono bisbigliata e poi sempre più forte sentono risuonare fino a quando intuiscono che è giunto il momento. Fuga ed esilio non sono sempre un fallimento. Possono essere il trionfo dell’amore. Alla sequela di Gesù, Giuseppe e Maria…
Partituras e gravação de 30-12-2017: in. Dum silentium http://pemdatabase.eu/image/22858 ky. http://pemdatabase.eu/image/4500 gl. http://pemdatabase.eu/image/11612 gr. Speciosus forma = in. al. Dies sanctificatus http://pemdatabase.eu/image/22857 of. Deus enim = al. sa. = ky. ag. http://pemdatabase.eu/image/4501 co. Tolle puerum http://pemdatabase.eu/image/22859 hy. Tantum ergo hy. Adeste fideles 1782 https://www.hymnsandcarolsofchristmas.com/Hymns_and_Carols/Images/Stephan/adeste_fideles_a_study_on_its_or.htm

Fontes e gravação de  29-12-2018:
of. Tui sunt celi http://pemdatabase.eu/musical-item/44963
cõ. Fili quid fecisti nobis http://pemdatabase.eu/musical-item/44965
hy. Tantum ergo
hy. Adeste fideles 1782 https://www.hymnsandcarolsofchristmas.com/Hymns_and_Carols/Images/Stephan/adeste_fideles_a_study_on_its_or.htm

Música própria de 4ª Feira de Cinzas / Feria Quarta Cinerum

Partituras:
  • Próprio autêntico (PDF)

Intróito Miseréris ómnium, comentado por Tiago Barófio:

Nel cantare la liberazione dalla schiavitù, Israel prende atto della clemenza di D-i-o nei confronti pure dell’Egitto. Con un mosaico di espressioni (Sap 11, 23a, 24b, 26), la Chiesa cerca di ricostruire il quadro della situazione. Oggi come ieri la creatura è chiamata a prendere coscienza di chi essa stessa in fondo è. Il discorso accumula una serie di realtà che si slanciano su un lungo arco dove possono essere messi in fila: all’inizio il Creatore, poi la sua opera che culmina nelle creature umane, quindi il cedimento di queste nel peccato, la successiva conversione nella penitenza, infine il perdono che ci fa ritrovare di nuovo il Signore, nostro D-i-o.
La storia della conversione inizia con l’avvertire nella sua concretezza l’amore di D-i-o. L’introito comincia con Misereris: TU hai pietà, TU sei misericordioso, TU ami. Il canto sottolinea questa parola evidenziando le due sillabe centrali con il torculus initio debilis che prepara la giusta accentuazione della sillaba tonica sul la culminante. Il salicus successivo sottolinea nuovamente l’ampiezza sconfinata dell’amore divino che a tutti si rivolge, perché nulla (scandicus quilismatico e ulteriore evidenza della dominante la) D-i-o disprezza di quanto ha creato. 
L’azione del perdono esplicita l’amore del Padre, è totalmente gratuito. Non è neppure imposto, ma esige un passo decisivo dell’uomo: il riconoscimento della propria miseria e l’accoglienza della misericordia divina attraverso la conversione nella penitenza. Fatto, questo, non secondario, come sottolinea l’ampiezza melodica che scandisce l’espressione propter paenitentiam.
Al Misereris iniziale fa da controcanto il duplice Miserere mei (Sal 56) della salmodia. L’invocazione nasce dal rinnovato dono di sé a D-i-o, nel quale si pone ogni fiducia, al quale ci si abbandona come il bimbo si adagia sereno e s’addormenta in braccio alla mamma.
Dopo aver ribadito più volte, nelle scorse domeniche, la necessità di togliere i veli che nascondono il volto di D-i-o, all’inizio della quaresima la Chiesa fa un passo ulteriore. Di fronte a D-i-o dobbiamo porci con la verità del nostro essere. Il cantore non può limitarsi a gorgheggi. È chiamato a ricuperare la pienezza del suono che nasce dal cuore. Deve inoltrarsi in un itinerario che s’affianca a quello in salita verso il Monte Tabor. È un cammino “in discesa” che porta nel profondo della persona sollecitata, prima di tutto, a togliersi di dosso ogni maschera, ogni forma d’ipocrisia. Poi ci s’inoltra nella camera segreta interiore, in quello spazio dove possono accedere solo D-i-o e l’I-o. Cammino in discesa che passa attraverso tre paesaggi in cui è messa alla prova la capacità di cantare la grazia di D-i-o, il dono della vita che si condivide con i fratelli e le sorelle. Nell’attraversare i paesaggi dell’elemosina tanto premurosa quanto discreta, della preghiera umile e sincera, dell’ascesi liberatoria e rasserenante (cfr. il Vangelo odierno, Mt 6), il cantore avverte la fatica della conversione. Deve far fronte a fallimenti ed errori, deve ricuperare ogni giorno nuove forze e solidità interiori che spesso provocano nuove tensioni, irrisioni, inimicizie, violenze ... 
Ma nel canto si realizza la Parola del salmista (sal 108, 4). Riceve insidie e disprezzo in cambio del suo amore. Fa di sé stesso una nuova esperienza. Non pronuncia e non canta più sole parole. Egli è preghiera.
13-2-2013


Antes do Evangelho canta-se o tracto Dómine non secúndum, cujo 2º versículo é o Adjuva nos Deus, o qual mereceu uma composição de Mateus d'Aranda, aqui na interpretação da Capella Eborensis:



E do Ensemble da Sé de Angra do Heroísmo.


Sermão de Santo António de Lisboa em Quarta-Feira de Cinzas:
1. Naquele tempo disse Jesus aos seus discípulos: “Quando jejuardes, não fiqueis tristes como os hipócritas que desfiguram o rosto para se fazer ver pelos homens que estão jejuando. Em verdade, eu vos digo: eles já receberam a sua recompensa. Tu, ao contrário, quando jejuares, urge a cabeça, lava o rosto para que os homens não vejam que estás jejuando, mas o teu Pai que está no secreto” (Mt 6,16-18).Neste trecho evangélico vamos tratar de dois assuntos: o jejum e a esmola.

I. O jejum
2. “Quando jejuais”. Nesta primeira parte devem-se considerar quatro coisas: • o fingimento dos hipócritas; • a unção da cabeça; • o lavar o rosto; • a ocultação do bem. “Quando jejuais”. Lê-se na História Natural que com a saliva do homem em jejum resiste-se aos animais portadores de veneno; aliás, se uma cobra o ingere, morre (Plínio). Portanto, no homem em jejum existe verdadeiramente um grande remédio. Adão no paraíso terrestre, até que não comeu (jejum) do fruto proibido, permaneceu na inocência. Eis aí o remédio que mata a diabólica serpente e restitui o paraíso, perdido por culpa da gula. Por isso conta-se que Ester castigou seu corpo com jejuns para fazer cair o orgulhoso Aman e reconquistar aos judeus a benevolência do rei Assuero. Jejuai, portanto, se quiserdes conseguir estas duas coisas: a vitória sobre o diabo e a restituição da graça perdida. Mas “quando jejuais, não fiqueis tristes como os hipócritas”, isto é, não queirais ostentar o vosso jejum com a tristeza do rosto. Hipócrita diz-se também “dourado”, isto é, que tem a aparência do ouro mas, internamente, na consciência é barro. Este é o ídolo dos babilônios (Baal), de quem diz Daniel: “Não te enganes, ó rei, este ídolo, de fora é de bronze; dentro, porém, é só barro” (14,6). O bronze ressoa e pelo aspecto pode quase parecer ouro. Assim também o hipócrita ama o som do louvor e ostenta um pouquinho de santidade. O hipócrita é humilde no rosto, simples no vestir, submisso na voz, mas lobo em sua mente. Esta tristeza não é segundo Deus. É uma maneira estranha de buscar para si mesmo o louvor, essa de ostentar os sinais da tristeza. Os homens estão acostumados a alegrar-se quando ganham dinheiro. Mas trata-se de negócios diferentes: nestes últimos existe a vaidade, nos outros a falsidade. “Desfiguram-se (em latim exterminant) o rosto”, isto é, desfiguram-no para além dos limites da condição humana. Como se pode orgulhar da beleza das vestes, pode-se também fazê-lo da sua feiúra e falta de cor. Não se deve abandonar nem a uma sem cor exagerada e nem a uma excessiva vaidade: é bom estar na justa medida! “A fim de serem vistos pelos homens...” Qualquer coisa que fazem é apenas, aparência, pintado de um falso colorido. Fazem-no para aparecerem diferentes dos outros e serem chamados “super-homens”, até mesmo por causa da aviltação. “...jejuam”. O hipócrita jejua para receber louvor disso, o avarento para encher o bolso, o justo para agradar a Deus. “Em verdade eu vos digo: já receberam sua recompensa”. Eis a recompensa do prostíbulo, de que diz Moisés: “Não prostituas tua filha” (Lv 19,29). Filha representa as obras deles: colocam-nas no prostíbulo do mundo para receberem a recompensa do louvor. Seria loucura de quem vendesse como uma moeda de chumbo uma preciosa moeda de ouro. Na realidade vende por um preço muito barato algo de grande valor, aquele que faz o bem só para ser louvado pelos homens.

3. “Tu, ao contrário, quando jejuas, unge a cabeça, lava o rosto”. Isto concorda com o que diz Zacarias. “Isto diz o Senhor dos exércitos: O jejum do quarto mês, do quinto, do sétimo e do décimo mês serão para a casa de Judá dias de alegria e felicidade, dias de grande festa” (Zc 8,11). A “casa de Judá” significa “que manifesta” ou “que louva” e representa os penitentes que manifestando e confessando seus pecados prestam louvor a Deus. Destes é e deve ser o jejum do quarto mês, porque jejuam (abstêm-se, de quatro coisas: soberba do diabo, impureza da alma, glória do mundo e injúria ao próximo. “Este é o jejum que eu amo”, diz o Senhor (Is 58,6). O jejum do quinto mês consiste em afastar os cinco sentidos dos pensamentos e prazeres ilícitos. O jejum do sétimo mês é a representação da cobiça terrena; com efeito como se lê que o sétimo dia não tem fim, assim também nem a cobiça do dinheiro chega ao fundo o suficiente. O jejum do décimo mês consiste em deixar de perseguir um fim mau. O final de cada número é o dez: quem quiser contar além tem que começar de novo do um. O Senhor se lamenta pela boca do profeta Malaquias: “Vós me roubais e ainda me dizeis: Em que coisa nós te roubamos? No dízimo e nas primícias (3,8), isto é, na finalidade má e no início de uma intenção perversa. Preste-se atenção, que o profeta coloca o dízimo antes das primícias, porque é sobretudo pela finalidade perversa que é condenada toda a obra precedente. Este jejum transforma-se para os penitentes em alegria da mente felicidade de amor divino e em esplêndida solenidade de celeste convivência. Isto quer dizer ungir a cabeça e lavar o rosto. Unge a cabeça aquele que em seu interior está cheio de alegria espiritual. Lava o rosto aquele que orna as suas obras com a honestidade da vida.

4. O outro sentido. “Tu, ao contrário, quando jejuas...”. São muitos os que nesta Quaresma, jejuam e no entanto continuam em seus pecados. Estes não ungem a cabeça. Há um triplo unguento: o lenitivo (sedativo), o corrosivo e o “pungitivo”. O primeiro é produzido pelo pensamento da morte, o segundo pelo pensamento da presença do futuro Juiz e o terceiro pelo pensamento da geena. Há a cabeça coberta de furúnculo, verrugas e bentiligo. O furúnculo é uma pequena protuberância superficial cheia de podridão (pus); verruga é uma excrescência de carne supérflua, pelo que verruguento pode significar também “supérfluo”; o bentiligo é uma casca seca que deturpa a beleza. Nestas três doenças estão indicadas a soberba, a avareza e a luxúria obstinada. Tu, ó soberbo, recoloca diante dos olhos da tua mente a corrupção do teu corpo, a podridão e o fedor que terá. Onde estará, então, aquela tua soberba do coração, aquela tua ostentação de riquezas? Aí, então, não existirão mais as palavras cheias de vento, porque a bexiga murcha ao mínimo toque do alfinete. Estas verdades, meditadas no íntimo de cada um, ungem a cabeça feridenta, isto é, humilham a mente orgulhosa. Tu, ó avarento, lembra-te do último exame, onde haverá o Juiz justo, estará a carnífice pronto a atormentar, os demônios que acusam, a consciência que remorde. “Então a tua prata será jogada fora, o ouro se tornará sujeira, o teu ouro e a tua porta não poderão livrar-te do dia da ira do Senhor (Ez 7,19). Estas verdades, meditadas com atenção, destróem e tiram as verrugas do supérfluo e os dividem entre aqueles que nem o necessário têm. Por isso, quando jejuas, unge tua cabeça com este unguento, para que o que tiras de ti mesmo seja dado ao pobre. E tu, ó luxurioso, começa a pensar na geena do fogo inextinguível, onde haverá morte sem morrer, fim sem terminar, onde se procura mas não se encontra a morte, onde os condenados engolirão a língua e amaldiçoarão o Criador. Lenha daquele fogo serão as almas dos pecadores e o sopro da ira de Deus as incendiará. Diz Isaías: “Desde ontem”, isto é, desde toda a eternidade, “está preparado o Tofet”, a geena do fogo, “profundo e vasto. Fogo e muita lenha são seu alimento; o sopro do Senhor o acenderá como torrente de enxofre” (Is 30,33). Eis o unguento que punge, que penetra, capaz de sarar a mais obstinada luxúria. Como prego tira prego, assim estas verdades, meditadas assiduamente, são em grau de reprimir o estímulo da luxúria. Tu, portanto, quando jejuas, unge a cabeça com este unguento.

5. “Lava o rosto”. As mulheres, quando querem sair em público, ficam na frente do espelho e se descobrirem alguma mancha no rosto, logo se limpam com água. Assim também tu, olha no espelho da tua consciência. E se encontrares alguma mancha de pecado, vai imediatamente à fonte da confissão e, quando na confissão se lava com lágrimas o rosto do corpo, também o rosto rosto da alma fica limpo e iluminado. Uma observação: as lágrimas são luminosas na escuridão, são quentes contra o frio, são salgadas contra o fedor do pecado. “Para que os homens não vejam que estás jejuando”. Faz jejum para os homens quem busca os aplausos deles. Faz jejum para Deus quem sofre por seu amor e partilha com os outros aquilo que tira de si mesmo. “Mas só o teu Pai que está no secreto”. Acrescente-se: o Pai está no secreto por causa da fé e recompensa aquilo que é feito em secreto. Portanto, deve-se jejuar somente lá onde ele vê. E é preciso que quem jejua, jejue de tal modo que agrade àquele que carrega no coração. Amém.

II. A esmola
6. “Não acumuleis para vós tesouros sobre a terra, onde a traça e a ferrugem corroem e onde os ladrões assaltam e roubam” (Mt 6,19). A ferrugem corrói os metais, a traça corrói as roupas; o que se salva destes dois flagelos, os ladrões roubam. Com estas três expressões é condenada toda forma de avareza. Vejamos o significado moral das cinco palavras: terra, tesouros, ferrugem, traça e ladrões. A terra, assim chamada porque se seca (em latim “torret”) pela seca natural, representa a carne que é de tal modo sedenta que nunca diz: chega! Tesouros são os preciosos sentidos do corpo. A ferrugem, doença do ferro, assim chamada do verbo latim “eródere”, indica a impureza que, enquanto parece agradar, acaba com a beleza da alma e a corrói. A traça, assim chamada porque “segura”, indica o orgulho ou então a ira. Os ladrões (em latim “fures”, de furrus = obscuro), que trabalham na escuridão da noite, representam os demônios. Portanto, se carregamos alguma coisa na carne, escondemos os tesouros na terra, quer dizer: enquanto usamos os preciosos sentidos do corpo nos desejos terrenos ou da carne, a ferrugem; isto é, a impureza, os corrói. Além disso, o orgulho, a ira e demais vícios destróem a roupa dos bons costumes e, se sobrar ainda alguma coisa, os demônios a roubam, pois estão sempre interessados justamente nisso: roubar os bens espirituais. “Acumulai-vos de tesouros no céu”. Imenso tesouro é a esmola! Diz S. Lourenço: “As mãos dos pobres é que colocaram nos tesouros celestes as riquezas da Igreja!” Acumula tesouros no céu quem dá a Cristo e dá a Cristo quem dá ao pobre: Aquilo que fizestes a um destes mais pequeninos, o fizestes a mim! (Mt 25,40). “Esmola” é uma palavra grega que em latim se diz “misericórdia”. Por sua vez misericórdia significa “que irriga o mísero coração”. O homem irriga o pomar para colher os frutos. Tu, também, irriga o coração do pobre miserável através da esmola que é chamada água de Deus para obter seus frutos na vida eterna. Seja o pobre o teu céu! Coloca nele o teu tesouro, para que nele esteja sempre o teu coração. E isso, sobretudo agora, durante a santa Quaresma. Onde está o coração, aí também está o olho; e onde estão o coração e o olho, alí também está a inteligência, sobre a qual diz o salmo: “Feliz aquele que atende (“intelligit” = tem cuidado) ao mísero e ao pobre” (40,2). Daniel disse a Nabucodonosor: “Seja-te aceito, ó rei, o meu conselho: desconta teus pecados com a esmola, desconta tuas maldades com obras de misericórdia para com os pobres” (Dn 4,24). Muitos são os pecados, muitas são as maldades e por isso, muitas devem ser as esmolas e muitas as obras de misericórdia para com os pobres. Assim resgatado por elas da escravidão do pecado, possais voltar livres à pátria celeste. Vo-lo conceda Aquele que é bendito nos séculos. Amém.

7. Lê-se no Livro dos Juízes que “Gedeão invadiu os acampamentos de Madiã com tochas, trombetas e ânforas” (7,16...) Isaías também diz: “Eis o Dominador, o Senhor dos exércitos quebrará com o terror a broca de barro; os de alta estatura serão cortados e os poderosos serão humilhados. O centro da selva será destruído a ferro e o Líbano cairá com seus altos cedros” (10,33-34). Vejamos o significado moral de Gedeão, tochas, trombeta e ânforas. Gedeão quer dizer “que gira no útero” e indica a pessoa penitente que, antes de se apresentar à confissão, deve girar no útero da sua consciência em que foi concebido e gerado o filho da vida ou da morte. Ela tem que pensar se já se confessou de todos os seus pecados; e se, depois de ter se confessado, recaiu nos mesmos pecados, e quantas vezes; porque neste caso foi muito, mas muito mesmo mais ingrato para com a graça de Deus. Se transcurou a confissão e por quanto tempo permaneceu em pecado sem confessar-se, e se, com pecado mortal, recebeu o corpo do Senhor. Portanto, a pessoa penitente, ouvindo o Senhor que diz “fazei penitência”, deve julgar a si mesma por todos os dias de sua vida, para ver se ela é “Israel”, isto é, alguém que vê a Deus. Todos os anos, durante a Quaresma, deve analisar a própria consciência, que é a casa de Deus e tudo aquilo que nela encontrar de nocivo ou supérfluo deve circuncidar na humildade da contrição; e deve também considerar o tempo passado, procurando com diligência aquilo que cometeu, omitiu e, depois disso, voltar sempre ao pensamento da morte que deve ter diante dos olhos, aliás, morar mesmo neste pensamento.

8. A pessoa penitente, como atento explorador, feito assim o giro, deve logo acender a lâmpada que arde e ilumina: nela é indicado o coração contrito o qual, pelo fato de arder também ilumina. E eis o que pode fazer a verdadeira contrição. Quando o coração do pecador se acende com a graça do Espírito Santo, ele arde pela dor e ilumina pelo conhecimento de si mesmo; e então, a consciência, cheia de tribulações e remorsos, e a atormentada impureza é destruída porque seja interna que externamente a paz volta a florescer. E o esplendor do luxo deste mundo, a dissolutez carnal são destruidos desde a alma até a carne, porque tudo o que houver de imundo tanto na alma como no corpo, é queimado pelo fogo da contrição. Feliz aquele que queima e ilumina com esta lâmpada! Dela diz Jó: “lâmpada desprezada nos pensamentos dos ricos, preparada para o tempo estabelecido” (12,5). Os pensamentos dos ricos deste mundo são: guardar as coisas adquiridas e suar para adquirir mais ainda. Por isso, raramente ou nunca se encontra neles a verdadeira contrição. Eles desprezam-na porque fixam sua alma nas coisas passageiras. Com efeito, enquanto procuram com tanto ardor o prazer das coisas materiais, esquecem-se da vida da alma que é a contrição e assim caminham ao encontro da morte. Diz a História Natural que a caça dos cervos se faz assim: dois homens saem, um deles toca a trombeta e canta, o cervo segue o canto porque sente uma atração por ele. No entanto, o segundo homem dispara a flecha, atinge-o e o mata. Assim também acontece com a caça dos ricos. Os dois homens são o mundo e o diabo. O mundo, diante do rico, toca a trombeta e canta porque lhe mostra e promete os prazeres e as riquezas. E enquanto o rico estulto segue-o encantado, já que encontra prazer nessas coisas, é morto pelo diabo, levado à cozinha do inferno para ali ser fervido e assado.

9. Eis, porém, que chega o tempo da Quaresma, instituído pela Igreja para perdoar os pecados e salvar as almas: na Quaresma prepara-se a graça da contrição que agora está à porta espiritualmente e bate. Se quiseres abrir e acolhê-la ceará contigo e tu com ela. E aí, sim, começarás a tocar a trombeta de maneira maravilhosa. Trombeta é a confissão do pecador contrito. Feita a confissão, deve ser dada a satisfação ou penitência indicada na ruptura da ânfora ou do vaso de barro. É desprezado o barro, o corpo acaba por sofrer; Madiã é interpretada como “do juízo” ou “iniquidade”, isto é, o diabo que, pelo juízo de Deus, já é condenado, é derrotado e a sua iniquidade arrasada. E é isso que diz o profeta Isaías: “Os de estatura alta”, isto é, os demônios “serão cortados” e “os poderosos”, isto é, os homens orgulhosos “serão humilhados” e “o centro da selva”, isto é, a ganância das coisas materiais “será destruída pelo ferro” do temor de Deus; “e o Líbano”, isto é, o esplendor do luxo mundano “com os seus altos cedros”, isto é, as nulidades, os enganos e as aparências, “cairá”. Atenção! A satisfação, a penitência consiste em três coisas: • na oração, naquilo que diz respeito a Deus, • na esmola, no que diz respeito ao próximo, • no jejum, no que diz respeito a si mesmos. E tudo isso para que a carne que, pelo prazer, conduziu ao pecado, pela expiação conduza ao perdão. E isso digne-se conceder-nos Aquele que é bendito nos séculos. Amém.

(Sermões, vol. III, pg. 139ss)
Tradução: frei Geraldo Monteiro, OFM Conv

Sermão que o Padre António Vieira prègou na Quarta-Feira de Cinza de 1672 na Igreja de Santo António dos Portugueses em Roma, aqui dito por Luís Miguel Cintra na Igreja de São Roque em Lisboa em 2010:




Para a imposição das cinzas, o Gradual Romano sugere as antífonas Immutemur e Iuxta vestíbulum, bem como o responsório Emmendémus.

Outra opção é o Memento homo, texto proposto pelo missal hodierno para ser dito pelo sacerdote durante a imposição das cinzas. Eis o motete com este último texto, composto por Diogo Dias Melgás no século XVII, na interpretação do Côro do Mosteiro de Grijó: Lembra-te, homem, que és pó e ao pó voltarás.



Música própria do 10º Domingo do Tempo Comum / Hebdomada décima per annum

Clicai e vêde.
Intróito Dóminus illuminátio comentado por Tiago Barófio:
Questo introito in re plagale (II modo) ha in comune due importanti sezioni con due altri canti d’ingresso dello stesso modo. La parola iniziale Dominus è identica a Dominus fortitudo, mentre la conclusione infirmati sunt et ceciderunt ricalca la finale del primo introito di Natale Dominus dixit ... ego hodie genui te (con variante anche in Dominus fortitudo ... hereditati ... usque in saeculum). 
Dominus illuminatio è l’unico introito di II modo che presenta al suo interno una domanda, anzi due nel caso specifico. La prima domanda “quem timebo?” non ha avuto un riflesso sulla musica. Probabilmente si è preferito dare all’edificio melodico quell’impronta armonica che prevede in molti casi un’unica conclusione cadenzale alla fine della prima e dell’ultima frase delle composizioni gregoriane. La seconda domanda, al contrario, ha una rilevanza musicale espressa dalla sospensione melodica “a quo trepidabo?” fa-sol-la. 
L’impianto modale del re plagale è annunciato con chiarezza dalla formula iniziale con l’inizio dal la grave la-do-re e la sottolineatura della tonica re re-mi-re (cfr. gli introiti Cibavit, Dominus fortitudo, Ecce advenit, Laetetur cor, Veni et ostende). Un inizio ritardato dal la grave si ha in altri casi in cui la melodia parte dalla tonica re (Multae tribulationes, Terribilis est locus, Vultum tuum). 
Nelle tre frasi dell’introito si nota una progressione melodica all’apertura delle prime due: la-do-re e re-fa-sol, quest’ultima ripetuta all’inizio della terza frase. La melodia insiste sempre sul fa, elevandosi al sol nella parte centrale, nella saldatura tra II e III frase, per preparare l’apice melodico su qui tribulant quando si raggiunge il si bemolle acuto. 
Le parole del salmo 26, 1-2 esprimono una serena confessione di fede vissuta in una profonda serenità. Una leggerezza dello spirito – messa in evidenza dai frequenti gruppi strofici – che esprime un’esperienza vissuta dal cantore. La salmodia che s’intercala all’antifona d’introito (sal 26, 3), parla esplicitamente di momenti negativi quando un pericolo oppressivo incombeva quasi fosse un intero esercito. Pericolo che probabilmente si presenterà di nuovo senza tuttavia provocare panico e smarrimento. “Il mio cuore non temerà” non è altro se non la risposta alla Parola ripetuta da D-i-o nella storia d’Israel e nelle vicende quotidiane dei singoli individui “Non temere, IO sono con te” (chi può ripercorra le pagine della cantata di J. S. Bach “Fürchte dich nicht, ICH bin bei dir”).
Nel canto del coro gregoriano emergono le vibrazioni di un’esperienza vissuta che supera le emozioni superficiali provocate da una semplice lettura che lascia distaccati. Un conto è prendere atto che D-i-o illumina gli uomini, ben diverso è percepire nella propria esistenza il dirompere della luce che scandaglia tutta la persona sino negli angoli più reconditi. D-i-o è vissuto allora come presenza che cambia tutta la vita, è salvezza (libertà, direbbe M. Buber), presenza costante e protettrice che suggerisce la prima reazione di fronte alle angustie “quem timebo?”. Chi e cosa devo temere? In fin dei conti D-i-o si è rivelato una o più volte come il “defensor vitae meae”, difesa della mia vita, Egli “dà forza” e rende salda la mia vita, “a quo trepidabo?”. Di chi e di che cosa devo aver paura? Il superamento delle insidie e dei nemici, com’è avvenuto nel passato segnerà anche la mia e la nostra vita in futuro.

O ofertório é o Illumina oculos meos, Ilumina os meus olhos, para que eu nunca adormeça na morte, e que nunca diga o meu inimigo: "Prevaleci contra ele". Partitura em PDF no Offertoriale Restitutum cum versiculis.

Interpretação gregoriana de Estêvão Olbash e suas vozes:




Versão polifónica de Estêvão Lopes de Morago, pelo Ensemble Sé de Angra:




Outra versão polifónica de Pêro de Gambôa, pela Capella do Rio Douro:

Música própria do 12º Domingo do Tempo Comum / Hebdomada duodecima per annum

Partituras:
Próprio autêntico completo PDF

Intróito Dóminus fortitúdo plébis súae, aqui cantado pelo Pedro Emanuel Desmazeiros:

O Senhor é a fortaleza da sua plebe, e é protector dos [que são] saudáveis [por causa] do seu Cristo: faze salvo o teu pôvo, Senhor, e bendize a tua herança, e rege-os até ao século. Sal. A Ti, Senhor, clamarei, meu Deus não te silencies perante mim: nunca te cales para mim, e serei assimila do aos que descem ao lago.



E aqui comentado por Tiago Barófio:

Clicai e vêde.
Il salmo 27, 8-9 fornisce al canto uno dei testi più estesi degli introiti in re plagale (II modo). Dal la grave s’innesta una frequente formula d’intonazione (la-do-re re) come pure la cadenza finale sul re amplifica leggermente una tradizionale formula conclusiva per dare voce alle sei sillabe con cui termina il pezzo (usque in saeculum). L’apertura iniziale è ripetuta due volte (salvum, populum), mentre al la grave la melodia scende anche due volte (sui est, salvum fac). Pur raggiungendo all’acuto il sol, la nota principale rimane il fa che funge da reale dominante e, a tratti, da corda di recita. L’insistenza sul fa conferisce all’introito una valenza meditativa e invita ad un confronto con l’esperienza del salmista.
Il testo è una confessione di fede e volge lo sguardo su due scenari complementari, indissolubilmente collegati tra di loro. All’orizzonte della storia si stagliano due realtà: la comunità del popolo di D-i-o (plebs, populus, hereditas) e l’unto del Signore (Christus). I molti e il solo individuo non si contrappongono: sono i due aspetti dell’unica eredità di D-i-o. Egli forma e raccoglie intorno a sé la sua famiglia e non si limita a uno sguardo svogliato che non va oltre una massa anonima. D-i-o ha un occhio di predilezione per ciascuno, e soltanto così ama veramente tutti. L’individuo è solo, ma non scompare come un pulviscolo senza forma; scopre la propria dignità in quanto membro di una comunità sociale ed ecclesiale costruita vivis ex lapidibus.
La parola chiave è quel Christus che il salmista contempla quale unto di D-i-o (Christi sui). Il cantore è invitato a scolpire nel cuore quella parola su cui la melodia s’attarda per meglio interiorizzare l’esperienza davidica. L’unto è in primo luogo Gesù Cristo, re e sacerdote e profeta. Ma unto è anche il cantore che oggi avverte la propria responsabilità battesimale di vivere e testimoniare la propria vocazione e regale e sacerdotale e profetica. Vocazione e missione regale nel rivelare la supremazia e la potenza dell’amore dono dello Spirito; sacerdotale nell’essere e divenire – in modo sempre più trasparente – mediatore non solo tra D-i-o e l’assemblea orante, ma anche tra la comunità e il Padre delle misericordie; profetica nel gridare con la vita, esprimere con il silenzio, cantare con il cuore e la voce che D-i-o è Padre del Signore nostro Gesù Cristo nel vincolo dello Spirito santo.
Progetto ambizioso? No. È semplicemente la conseguenza di aver accolto il dono di D-i-o nel battesimo e nelle infinite situazioni che si sono moltiplicate in seguito, spesso senza che ce ne accorgessimo e le prendessimo sul serio. Progetto impossibile da realizzare? Certo. Ma non siamo noi i protagonisti della storia. Non siamo noi che dobbiamo mostrare i muscoli e attribuirci chissà quale virtù taumaturgica. Il progetto è di D-i-o. Noi siamo chiamati a collaborare con Lui. Cominciamo a riconoscere che Lui solo è la forza, il rifugio e la salvezza, la nostra benedizione e guida. Al momento opportuno vedremo che cosa è necessario realizzare. Illuminati e confortati dallo Spirito avremo anche il coraggio di agire.
Te Christum solum novimus / te mente pura et simplici / rogare curvato genu / flendo et canendo discimus (dall’inno Nox et tenebrae et nubila).

Gradual Responsorial Convertere Domine cantado pelo eslovaco:




Salmo Responsorial em Português em Canto Gregoriano Simples para o Ano B Dai graças ao Senhor, porque é eterna a sua misericórdia (PDF) da autoria do nosso amigo Ricardo Marcelo de Lisboa.




Alleluia In te Dómine speráui, aqui cantado pelo Pedro Emanuel Desmazeiros:

Em ti, Senhor, esperei: não serei confundido na eternidade: na tua justiça liberta-me, e resgata-me: inclina para mim a tua orelha, acelera para que me resgates.




Comunhão Circuíbo et immolábo, aqui cantado pelo Pedro francês:

Circularei e imolarei no tabernáculo d'Êle a hóstia da jubilação: cantarei, e direi o Salmo ao Senhor.




No Domingo do Ano C, Qui vult veníre, aqui cantada pelo Pedro Emanuel Desmazeiros:

Quem quiser vir após Mim, abnegue-se a si mesmo: e carregue a sua cruz, e siga-Me.






Fontes e gravação c2019-6-22:
ĩt. Dominus fortitudo plebis http://pemdatabase.eu/image/61257
ky. http://pemdatabase.eu/image/4500
gl. http://pemdatabase.eu/image/11612
of. Perfice gressus http://pemdatabase.eu/musical-item/90982
sã. = ky.
ag. http://pemdatabase.eu/image/4501
cõ. http://pemdatabase.eu/musical-item/46564
hỹ. Pãge lĩgua gloriosi
ãt. Salve Regĩa http://divinicultussanctitatem.blogspot.pt/2011/09/santa-missa-cantada-ao-domingo.html

Música própria do 20º Domingo do Tempo Comum / Hebdomada vigésima per annum

Partituras:
Próprio autêntico completo (PDF)
Ofertório autêntico com versículos (PDF)

Intróito Protector noster , cantado por Pedro francês.

Protector nosso, olha, Deus, e considera a face do teu Cristo: porque melhor é [estar] um dia nos teus átrios, do que [possuir] milhares.





Comentário de Tiago Barófio:
Clicai e vêde melhor.
L’introito Protector noster ha varie sezioni in comune con Salus populi, un altro introito in mi di IV modo, che si canta nella XXV domenica. Nel canto odierno quattro apici musicali (do) sottolineano altrettante espressioni con un procedimento a chiasmo dovuto alla nota di partenza dell’arco melodico. La parole aspice e millia si cantano con uno slancio iniziale dal re grave; Christi (con abbellimento del do toccando il re) e dies una partendo dal fa. Un effetto particolare si trova nell’inciso quia melior est che raccorda le due frasi principali alterando con il si bemolle il nucleo sol-la-si-la, appena cantato con il si naturale (tui).
Il testo riprende alcuni stralci da un canto di pellegrini pieno di nostalgia (sal 84, 10.11 + 2 nella salmodia): “Quanto sono amabili le Tue dimore (v. 2), l’anima mia languisce e brama gli atri del Signore (v. 3), il nido presso i tuoi altari (v. 4), beato chi abita la Tua casa sempre canta le Tue lodi (v. 5), un giorno nei tuoi atri è più che mille altrove (v. 11), stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi (v. 11)”. È un serrato accumularsi di espressioni traboccanti senza sosta da un cuore “ubriaco” di D-i-o.
Il pellegrino “trova in Lui la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio” (v. 6). Viaggio difficile, pieno di incognite. La valle arida (con Eugenio Zolli è da preferirsi a “valle del pianto”) si trasforma in una sorgente (v. 7) che tonifica il pellegrino, infondendogli le energie necessarie all’incontro finale del viaggio.
Il verso 10 rivela il volto del pellegrino: è il consacrato da D-i-o, l’Unto di D-i-o, il Messia, Cristo Gesù secondo la tradizione cristiana che si riflette anche nella versione italiana. Tutto vero, senza tuttavia escludere quanti nel battesimo sono stati unti con il crisma, resi così partecipi della sua profezia e della sua regalità e del suo sacerdozio. In Cristo il Padre contempla il Figlio delle sue delizie. In Cristo il Padre contempla tutti i suoi figli adottivi. Figli se non rinunciano alla vita divina che si raggiunge attraverso il discepolato incondizionato al Servo di D-i-o, l’Agnello senza macchia, il Crocifisso e Risorto. Vita divina che dà un sua propria impronta all’esistenza quotidiana con la ovvia e naturale conseguenza. Fino a quando, finalmente, per ciascuno di noi davvero un giorno in preghiera in un oratorio è più che mille altrove, stare sulla soglia di una chiesa è meglio che abitare nei palazzi del potere. 
“Il Signore non rifiuta il bene a chi cammina e vive con rettitudine” (v. 12). In questa prospettiva il cantore non deve preoccuparsi di che cosa canta e come canta. Cercare prima il Regno. Il resto è un di più che verrà donato a suo tempo e nella misura adeguata alle condizioni di ciascuno. Ammesso che le mediazioni umane non siano rapaci e tolgano ai poveri ciò che loro spetta, defraudando gli ultimi e offendendo D-i-o. 
Nel suo impegno corale e nella vita di ogni giorno, il cantore è pertanto chiamato a testimoniare la fedeltà di D-i-o. Con la pace che deriva dall’abbandono alla divina Provvidenza. “Beato l’uomo che in Te confida” (v. 13).

Alleluia Venite, por Pedro francês.

Vinde, exultemos no Senhor, jubilemos em Deus, salvador nosso.




Ofertório Immitet, cantado pelo Pedro francês:

Enviará o anjo do Senhor à volta dos tementes d'Ele, e resgatá-los-á: degustai e vêde, porque suave é o Senhor.
V.1 Bendirei o Senhor em todo o tempo: sempre o louvor d'Ele [estará] na minha boca.
V.2 No Senhor será louvada a minha alma: ouçam os mansos e alegrem-se. Engradecei o Senhor comigo, e exaltemos o nome d'Ele à vez.

V.3 Acedei-Lhe e sereis iluminados, e os vossos vultos não corarão. Êste pobre clamou e o Senhor ouviu-o, e de todas as suas tribulações o livrou.




Comunhão Primum quaerite, pelo Pedro francês:

Primeiro buscai o reino de Deus, e tudo vos acrescentará, diz o Senhor.




Comunhão no Domingo do ano A, Domus mea, por Pedro francês:

A minha casa, casa de oração se chama, diz o Senhor: nela, todo o que pede recebe: e todo o que procura encontra, e aos que batem será aberto.



Comentário de Tiago Barófio a esta comunhão (PDF).

Partituras e gravação de 18-8-2018:
ĩt. Protector noster http://pemdatabase.eu/musical-item/44850
ky. http://pemdatabase.eu/image/4500
gl. http://pemdatabase.eu/image/11612
gr. Protector noster http://pemdatabase.eu/musical-item/44851 & http://pemdatabase.eu/musical-item/44852
al. Caro mea http://pemdatabase.eu/image/1380
of. Immitet angelus http://pemdatabase.eu/musical-item/44853
sã. = ky.
ag. http://pemdatabase.eu/image/4501
cõ. Qui manducat carnem meam http://pemdatabase.eu/image/39331 & http://pemdatabase.eu/image/34871
hỹ. Pange lingua
ãt. Salve Regina http://divinicultussanctitatem.blogspot.pt/2011/09/santa-missa-cantada-ao-domingo.html

segunda-feira, 1 de dezembro de 2014

Padre Paulo Ricardo pede um movimento para renovar a música litúrgica

Episódio 109 da série "ao vivo com o Padre Paulo Ricardo":




E como neste blog nada mais se pretende do que divulgar a boa música católica, escutai a versão portuguesa do Agnus Dei XVIII (MP3), o qual é cantado nas missas feriais do Advento, da Quaresma, e de defuntos, e cuja partitura adiante se apresenta (PDF):

Cordeiro de Deus, que tiras os pecados do mundo, apieda-Te de nós.
Cordeiro de Deus, que tiras os pecados do mundo, dá-nos a paz.
Cordeiro de Deus, que tiras os pecados do mundo, dá-lhes o descanso.
Cordeiro de Deus, que tiras os pecados do mundo, dá-lhes o descanso sempiterno.

Por favor comentai dando a vossa opinião ou identificando elos corrompidos.
Podeis escrever para:

capelagregorianaincarnationis@gmail.com

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